La febbre di Crimea-Congo

La febbre emorragica di Crimea -Congo fu descritta per la prima volta nel 1944 in Crimea. Poichè il virus causale fu successsivamente individuato come il responsabile anche della febbre emorragica del Congo, il nome definitivo dato alla malattia è stato quello di febbre di Crimea-Congo. Benchè si tratti principalmente di una zoonosi, anche nell'uomo si sono verificate epidemie.

Il virus che causa la malattia appartiene al genere Nairovirus e alla famiglia dei Bunyaviridae.

Esso viene trasmesso all'animale o all'uomo attraverso la puntura di diverse zecche, tra cui le più comuni sono quelle del genere Hyalomma.Tra gli animali più colpiti dall'infezione ci sono i bovini, gli ovini, le capre, ma anche gli struzzi e altri animali selvatici. L'uomo può essere infettato anche mediante il contatto con il sangue o i tessuti di animali infetti; molti casi infatti si sono verificati fra macellai, allevatori e veterinari. Anche il contatto col sangue o i tessuti di malati può risultare infettante.

Dopo un periodo di incubazione, variabile da un giorno ad un massimo di due settimane, insorgono rapidamente febbre, dolori muscolari, vertigine, dolore e rigidità nucale, mal di schiena, cefalea, dolori oculari e fotofobia. Ci può essere anche vomito e diarrea e in seguito stato confusionale e aggressività. Altri segni tipici sono le emorragie cutanee e mucose, e nei casi più gravi insufficienza renale epatica e respiratoria. La mortalità è del 30% circa.

La diagnosi può essere fatta con il test di ELISA per la ricerca delle immunoglobuline specifiche o con la ricerca degli antigeni virali, mediante PCR.. Non esiste una cura specifica ed efficace, ma l'uso della ribavirina sembra dare qualche risultato.

La prevenzione si basa su:

a) uso di vestiario idoneo nelle zone infestate da zecche; uso di repellenti sulla pelle.

b) mezzi di protezione adeguati ( sia per prevenire le punture delle zecche che per evitare il contatto col sangue e i tessuti degli animali infetti) per gli operatori degli allevamenti e dei macelli.

c) adeguate barriere e procedure tecnico-sanitarie per evitare la diffusione della malattia negli ospedali ove sono ricoverati pazienti infetti.

 

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